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Tuesday, September 18, 2012


1968: Mi Chiamavano “Spaghetti” 

Galleggiai sulla scia schiumosa e candida del transatlantico dei sogni
Gioia adolescente appena sbarcata alla scoperta di tutto              
E cominciai a paragonare quel tutto alle dolci albe
Delle mie terre verdi nel cuore
Che lasciai con sventolate di ricamati stendardi da taschino
Mi ci asciugai le lagrime e poi il sudore;
arrivammo e non c’erano i boccioli di pesco per il maestro
Ora sul nuovo porto
Non c’erano i muggiti che sapevano della campagna di nonna
Non c’erano le carezze dei venti nostrani che mi riempivano i polmoni di trebbiatura 
Il vento aggressivo e pungente di New York mi schiaffeggio’ incessante nel mio nuovo paesaggio di cemento, che ci prese a bersaglio ma che mai riusci’ a centrarci...
Cosi’ mio padre comincio’ il nuovo sudore che spalmava come amara marmellata quotidiana sul pane insapore nella cassetta di sogni incompresi
Ma la radice del partigiano e’ una dei forti
Soffrivamo nel disperato silenzio e nel continuo abbozzare di chi ce la deve fare
Le prime lezioni le passeggiate nel Bowery
Le botte, le manette del subway e il Vietnam fuori e dentro
Le rivolte violente e fughe da manganelli oppressivi
E sorvolavo scontento le nubi artificiali, fumogene, della mia nuova realta’
L’opportunita’ difficile a vedere anche nei giorni di volatile gioia
Il soprannome Spaghetti quel giorno, nelle vecchie aule di razzismo e incomprensione,
riverbero’ pungente nella melma del mio nuovo oceano
studiavo, soffrivo, lavoravo, soffrivo, lavoravo, studiavo
lavapiatti, carpentiere, muratore, venditore, carrozziere, cameriere, studente
non vedevo sorrisi  e non capii che forse si dovevano  prender da soli
questo self-service sociale mi colpi’ a mitraglia e ferendomi, mi fece bene
comiciai a costruire il mio scudo
entrando apprendista nel corral di cavalli e cavalieri selvaggi;
e tra la polvere, i calci e la muffa di coloniasmi rimasi a cavallo; ritrovai il coraggio del partigiano che m’insegno’mio padre; la nostra e’ una radice di forti
spostatevi che mi faccio avanti, la sella fatta a mano resiste e trionfa,
cosi’ al galoppo sfrenato ma determinato
programmai il cuore a giornata
diventai subdolo e fluido camaleonte
il freddo d’inverno non pentetrava piu;  galoppavo sicuro
lavoravo, studiavo, soffrivo, lavoravo, studiavo, combattevo con arsenale di lingue, esperienze e sudori e cominciai a rivedermi piu’ forte
e nelle albe dei grattacieli coperti come visione in aliante librata su fumi di fabbrica e libri, rividi contento le terre verdi lasciate dai ricamati stendardi da taschino. 
Metamorfosi...
Non mi chiamano piu’ “spaghetti” nelle nuove aule di razzismo e incomprensione

Maurizio Morselli